| Visto visto! E piaciuto molto anche!
Hanno rispettato i fatti storici nei minimi dettagli, e questa è già cosa grandiosa. L'unico appunto che potrei muovere sul film riguarda la figura di Sinesio. Egli era sì un vescovo, ma non per vocazione: fu acclamato dal popolo, come spesso accadeva a quei tempi, e accettò la carica solo previo consenso di mantenere al suo fianco la moglie, cui era molto affezionato; oltretutto dichiarò apertamente che non accettava alcuni dogmi della Chiesa, fatto che cozza con quella frase (peraltro bellissima) di Ipazia che dice "tu non puoi mettere in discussione ciò in cui credi, io invece non posso non farlo". Insomma, era una figura molto meno rigida e chiusa mentalmente di come viene esposto, infatti ammirava moltissimo la sua maestra Ipazia, della quale condannò il suo omicidio, accusando come mandante il vescovo Cirillo.
Detto questo, il film mi è sembrato non solo un'attenta analisi del periodo storico e della figura di Ipazia, ma anche un lavoro simbolico atto a contrapporre il fanatismo religioso con la logica filosofica. Ho notato molti tratti puramente simbolici: - la scena iniziale, in cui i sacerdoti pregano nel Serapeo con parole non dissimili a quelle della liturgia cristiana, e poi mostra Serapide nella sua tipica iconografia di Dio-padre che ricorda molto quella del Dio cristiano, il tutto a sottolineare come ci siano più aspetti ad unire che a dividere (concetto che verrà poi espresso da Ipazia stessa per placare la discussione tra i suoi allievi) - Ipazia che, contrariamente ai dettami della moda dell'epoca, va quasi sempre in giro a capo scoperto, fatto inaudito anche per una donna emancipata; questo particolare l'ho letto come un simbolico rifiuto della ragione a piegarsi ai dogmi - il vescovo Cirillo bruno e vestito di scuro, in contrapposizione al collega Sinesio biondo e vestito di chiaro; ovviamente è un modo per sottolineare la netta distinzione tra la politica violenta e oscurantista del primo e quella aperta e diplomatica del secondo - i ragionamenti di Ipazia sui moti delle stelle erranti, che la portano a capire che la perfezione sta in ciò che funziona e non nelle forme in sé, e anche a capire che il cerchio e l'ellisse sono sostanzialmente la stessa cosa (bellissima la sequenza del cono di Apollonio); il concetto espresso rimanda a quello iniziale dell'uguaglianza tra entità apparentemente diverse - le riprese satellitari della Terra e le sequenze della rivolte di Alessandria viste dall'alto, che danno effettivamente la misura di quanto noi e nostre azioni siano infinitamente insignificanti rispetto al resto dell'universo, nonostante l'uomo da sempre creda di essere in tutti i sensi al centro dell'universo - la sequenza finale, dove Ipazia riceve una morte compassionevole di Davo, mentre lei osserva l'ellisse formata dallo scorcio prospettico dell'oculo del soffitto, rimanda alla sua affermazione: "se capissi i segreti del moto delle stelle erranti potrei morire felice"; quella l'ho letta come la morte della ragione, uccisa dai dogmi religiosi, e tuttavia la ragione stessa, capace di vedere la verità, può morire serena perché consapevole, mentre Davo, che aveva cercato serenità e giustizia nei dogmi religiosi, non ha trovato nulla di ciò che cercava e si dispera per la morte di Ipazia
Ipazia stessa è una figura simbolica. Lei è l'unica, come dice Carlo, a mantenere intatta la sua natura, e allo stesso tempo a non restare rigida nelle sue posizioni. Perché è l'unica a non abbandonare la ragione in favore di verità più semplici ma dogmatiche, e cerca sempre di andare oltre i propri limiti.
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